Antonio Pappano, 'per la musica ci si dimentica di tutto'
Il grande direttore racconta una vita di sacrifici e successi
(di Luciano Fioramonti) Sempre alla ricerca dell'equilibrio tra la testa e il cuore, con la voglia di eguagliare il coraggio, la passione e la determinazione dei genitori. Antonio Pappano si mette a nudo raccontando la sua storia, dalle prime lezioni di pianoforte a sei anni in Inghilterra dove il padre Pasquale si era trasferito lasciando Castelfranco in Miscano, piccolo comune del beneventano, per sposare Maria Carmela, una compaesana praticamente fuggita nella capitale britannica per seguire la sorella, ai successi sul podio di orchestre di spicco culminati nella direzione musicale della cerimonia di incoronazione di Re Giorgio III nella abbazia di Westminster. Sir Tony ha approfittato della lunga pausa imposta dal Covid per riflettere sulla sua lunga avventura professionale nei teatri e nelle sale da concerto di tutto il mondo e ripercorrerla nelle 300 pagine di 'La mia vita in musica', pubblicato quest'anno in Inghilterra e ora fresco di uscita in Italia da Marsilio con la traduzione di Anita Taroni e Stefano Travagli. "Mi sporco le mani come hanno fatto i miei genitori prima di me", confessa il maestro spiegando perché non ama starsene chiuso una torre d'avorio a studiare le partiture. Il pubblico italiano ha imparato a conoscerlo bene nei 18 anni da direttore musicale dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia che grazie a lui oggi vanta un'orchestra considerata tra le più prestigiose della scena internazionale. Ed è proprio nell'Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone che il maestro anglo italiano ha presentato la sua biografia, ricordando che tornerà presto da direttore emerito ospite della stagione sinfonica e in futuro per riunirsi ai 'suoi' musicisti e al coro della fondazione musicale della capitale. "Nella vita uno fa tanti sacrifici, dimenticando la spiritualità, l'amicizia, l'amore… tutto per la musica", ha spiegato, ammettendo che a risarcirlo è però l'amore e il calore di quel "caro pubblico", come era solito salutare gli spettatori prima di ogni concerto. Pappano, nato nel dicembre 1959 a Epping, nell'Essex, ricorda l'infanzia di povertà in famiglia, l'imperativo addirittura esagerato del lavoro come occasione per migliorarsi e il rigore tipico dei sanniti che animava i genitori, domestici per una famiglia molto ricca. Il padre aveva anche una scuola di canto ed è lì che il piccolo Antonio, a 10 anni, cominciò ad accompagnare al pianoforte gli allievi nei capolavori della lirica, del musical e della tradizione popolare. E quella cicatrice sulla fronte? "A cinque anni ero in vacanza dai nonni a Castelfranco con mio fratello Patrick e sono caduto sul pavimento, c'era sangue dappertutto. In paese non c'era il dottore allora mi curò il barbiere chiudendo la ferita con la cera e questo è il risultato". Da Londra la famiglia si trasferì in America tornando qualche anno più tardi in Inghilterra, esperienze che hanno contribuito a forgiare il suo carattere poliedrico. "Ho conosciuto l'Italia a Santa Cecilia - dice - ma la musicalità italiana è dentro di me così come la disciplina e la razionalità inglese e la leggerezza americana''. Ma è nelle prove, osserva, il banco di prova della sua visione totale dell'esecuzione, "ascoltando bene la musica per poterla comunicare": sul podio "la tensione nevrotica fa parte del gioco, con la calma totale qualcosa mancherà. E con il pubblico cambiano anche l'acustica e l'atmosfera in sala. Non puoi copiare le prove o il concerto della sera prima. Ogni concerto è un viaggio nuovo". Il libro è anche una dichiarazione d'amore per la moglie Pamela, pianista come lui. "Facevamo lo stesso lavoro ed eravamo eravamo molto amici. È bello sposare la migliore amica. Lo ha deciso lei, è lei il vero boss. Cerca di proteggermi da me stesso, dai miei impegni e dal mio impulso onnivoro. Non ci riesce ma ogni mattina la guardo negli occhi e resto senza parole. Sa tirar fuori il meglio di me". Nel racconto scorrono i punti di svolta di una carriera brillante, dalla prima direzione a Oslo alla Royal Opera House, al lungo legame con Santa Cecilia e Roma e ora l'impegno come successore di Simon Rattle con la London Symphony Orchestra; Wagner, Mozart, Bruckner e lo Stabat Mater di Rossini ("mi ha cambiato la vita e ho capito da dove viene Verdi") gli autori che spiccano nel suo repertorio; e poi la meraviglia di assistere alle prove di Leonard Bernstein e gli incontri con Daniel Barenboim e Placido Domingo che lo hanno segnato come direttore e nel rapporto privilegiato con i grandi interpreti del teatro musicale. Antonio Pappano non si è mai guardato indietro, ha sempre marciato come una locomotiva e spiega di aver imparato in tempi recenti a cercare momenti di contemplazione e di intimità. Dopo tanti successi e riconoscimenti che cosa manca alla sua collezione di trofei? "Una calma interiore - dice all'ANSA - anche se l'inquietudine è una mia caratteristica che viene dai miei genitori, ma a volte è davvero troppo. E poi mi mancano tanti brani che voglio eseguire e studiare e questo è bello per un direttore perché il repertorio va ad infinitum. Sono molto fortunato in questo".
T. Jones--BTZ